Lo Spettatore
- Jane
- 31 ott 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Willie aprì di scatto gli occhi, prendendo fiato a pieni polmoni come dopo una lunghissima apnea.
Non aveva idea di dove fosse ne di quanto avesse dormito. Provò a scostarsi i ciuffi di capelli scuri dalla faccia, ma non riuscì a sollevare il braccio. Si guardò attorno agitato, era seduto su una poltrona rossa di velluto, uguale a centinaia di altre attorno a lui, sistemate perfettamente in file ordinate. Si accorse che i suoi polsi erano legati da un paio di ganci metallici ai braccioli della poltrona, così anche le caviglie.
Il fiato iniziava a farsi corto. Dov'era? Chi l'aveva legato? Perchè era da solo in quello che presumibilmente era un teatro? Mentre cercava in qualche modo di liberarsi dalla stretta morsa delle manette, sul palco davanti a lui successe qualcosa.
Un cono di luce gialla illuminò il proscenio e un battito di cigia dopo, comparve un uomo, perfettamente al centro del cono luminoso.
“Buonasera signori e signore” Willie conosceva quella voce, fin troppo bene. Gli si gelò il sangue nel sentire quel timbro sadico, nel vedere quella gestualità quasi attoriale, quei finti occhi comprensivi. Era lui in tutto e per tutto, dalla punta dei capelli grigio topo fino all'orlo dei terribili pantaloni gessati: il suo professore di storia, l'odioso McConnel. In quattro anni gli aveva dato la sufficenza circa una volta, per sbaglio, perchè doveva essere il voto della compagna che veniva dopo di lui sul registro. Willie si ritrovava ogni anno statisticamente storia a settembre, e ogni anno superava l'esame senza troppi problemi. La materia gli piaceva anche, ma con il professore era odio reciproco da sempre; quell'uomo era fuori di testa, l'aveva mandato in presidenza talmente tante volte che non bastavano tutte le dita delle mani per contarle. Ormai la preside non si curava più della presenza del ragazzo nel suo ufficio, gli faceva riordinare dei documenti e poi lo faceva tornare in classe.
McConnel continuò:”...vi presento un inedito spettacolo, in prima visione mondiale...” Si inchinò e lanciò un ghigno terribilmente sadico e malato verso Willie, che effettivamente era l'unico spettatore in quell' inquietante teatro.
Tornò il buio per qualche secondo, poi si aprì il sipario ed entrarono due figure.
Willie tentò di ultare terrorizzato ma la bocca rimase sigillata, uno dei due attori era lui, Willie, il che era impossibile perchè lui era seduto con gli arti bloccati alla poltrona che si faceva via via sempre più scomoda.
L'altra figura era una ragazzina sottile, dai lunghi capelli neri con i quali tentava di nascondere il timido viso.
I due stavano litigando terribilmente, urlavano, lui era rosso di rabbia, lei piangeva singhiozzando.
“Non puoi continuare così, devi smetterla, reagisci dannazione” Sbraitava lui.
“Non ce la faccio...” Ribatteva lei con la voce che le moriva sulle labbra tremanti.
Willie cercava di liberarsi dalle morse che si facevano sempre più strette, cercava di urlare ai due attori di smetterla.
Ricordava ogni minimo dettaglio di quel momento: il viso di Violet solcato dalle lacrime, ricordava che profumava di pulito, come sempre, ricordava che teneva ben nascoste le braccia nelle maniche di una grande felpa, ricordava tutte le cose orribili che le aveva urlato, ricordava che cercava di convincersi che lo faceva per lei ma alla fine i sensi di colpa lo avevano divorato.
Stava guardando i suoi ricordi? Nessuno aveva mai assistito a quella scena. Come era possibile che qualcuno potesse inscenare quel maledetto momento? Quella era stata l'ultima volta che aveva parlato con la sua migliore amica.
Le urla dei due lo stavano facendo impazzire, e proprio nel momento in cui stava per soffocare sotto quelle pesantissime parole la scena cambiò.
Sul palco comparvero tante panche piene di gente vestita di nero e con le espressioni vuote. Davanti a tutte quelle persone sedute c'era una bara di legno chiaro, aperta. L'attore-Willie camminava a passo incerto per la navata, portava un completo un po' troppo grande, aveva stranamente i capelli pettinati e le scarpe lucide di papà, quelle del matrimonio.
Arrivò alla bara e si immobilizzò e con la voce rotta sussurrò:”...scusa Violet”
Willie dalla poltrona tentava di urlare ma uscivano solo lacrime, pregava che lo spettacolo terrificante smettesse.
A un certo punto tutti i partecipanti al funerale si alzarono di scatto e a passo lento si avvicinarono al ragazzo accanto alla tomba indicandolo e sussurrando:”E' colpa tua, solo colpa tua” come un mantra. Più si avvicinavano più le voci si facevano assordanti, come se provenissero da dentro di lui e non da fuori.
Willie strinse i pugni bloccati dal freddo metallo, chiuse gli occhi pregando di smetterla “E' colpa tua, solo colpa tua” le voci provenivano da ogni parte della sala: sadiche, tristi, ghignanti, balbettanti. Sentiva la sua ragazza Gwen, sentiva suo padre, la madre di Violet, tutti i suoi amici. “E' colpa tua, solo tua”
Una risata soddisfatta ,leggermente passivoaggressiva, profonda e calda pervase la stanza: il professor McConnel :”Willie, vedi cosa hai fatto? Sei capace solo a far male alle persone che ami: prima Gwen, ora Violet...”
“E' colpa tua, solo tua”, risata sadica. Willie aveva le labbra sigillate, gli occhi chiusi, il viso completamente bagnato di lacrime, sentiva tutto intorno vorticare, gli mancava il fiato e poi...BUM.

Si trovò con la faccia a terra sul parquet chiaro di camera sua, le gambe ancora sul letto e il corpo penzolante con il viso spiaccicato sul pavimento. Il ragazzo si tirò su a fatica notando che le voci accusatorie si erano fermate, sentiva solo la sveglia che sparava a volume decisamente troppo alto American Idiot, pronamente la spense e si diresse verso la scrivania.
Aprì il cassetto sulla destra ed estrasse una scatola di legno dipinta di verde. Tolse il coperchio delicatamente: era piena di oggetti di vario genere, che solo per Willie poteva avere un senso tenere assieme in quella scatola. Tra tutti, una lettera, scritta da una calligrafia sottile e delicata. Era datata esattamente un anno prima. Era passato un anno. Willie la rilesse, per l'ennesima volta, aveva sempre odiato il concetto di lettera di suicidio, non ci trovava un senso, se hai qualcosa da dire non ti uccidi. Forse lo pensava solo per incolpare Violet, perchè era dannatamente sbagliato che lei non ci fosse più, con tutto quello che aveva ancora da dire.
La lettera finiva con ”So che cercherai di prenderti la colpa, di dare un senso a tutto questo, sappi che non è colpa tua, non lo sarà mai. So che hai cercato di salvarmi, è stata una mia scelta, certe persone non sono fatte per questo mondo. Ti vorrò sempre bene” firmato: Violet
Willie, tempo prima, aveva attaccato nello spazio bianco della lettera un post-it giallo sole, uno di quelli che in classe lui e Violet si appiccicavano a vicenda sui quaderni.
Questo non gliel'aveva mai dato, chissà perchè. Diceva “Senza di te il mondo sarebbe grigio, con il tuo sorriso dai colore alle cose, anche di quell'orribile rosa pastello che ti piace tanto. Ti voglio bene”
Si chiedeva se sarebbe cambiato qualcosa se avesse attaccato quel post-it in più sul quaderno di matematica di Violet. Ma probabilmente no.
Non era colpa sua, solo della sua migliore amica.
Adesso il mondo era grigio e gli mancava molto anche il rosa pastello.
-Jane
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